Descrizione

NOTE AL PROGRAMMA, a cura di Paolo La Rosa

Il percorso musicale proposto prende spunto dal confronto immaginario tra due grandi compositori del panorama ottocentesco italiano: Giovanni Morandi (1777-1856) e Vincenzo Antonio Petrali (1830-1889), entrambi celebri organisti che hanno portato il virtuosismo dell’organo italiano ottocentesco a livelli molto alti.

Protagonista assoluta è la liturgia, la quale, nel XIX secolo, affidava alla musica prettamente organistica una parte rilevante, molto e molto di più del giorno d’oggi. Non dimentichiamoci che l’organo in quegli anni era la cassa di amplificazione del pensiero musicale e sociale del tempo. L’organista, durante le Messe, aveva l’arduo compito di intrattenere l’uditorio non solamente con l’accompagnamento di canti, inni e arie spirituali, ma soprattutto con sonate, concerti e marce, che prendevano i nomi della collocazione liturgica alla quale erano affidati (per l’offertorio – all’elevazione – per dopo la Messa – ecc.). In questo modo gli organisti dovevano dare prova della loro capacità di virtuosi e abili musicisti che svolazzavano sulle tastiere e sulle pedaliere. Ecco che i fedeli si immedesimavano nel gusto musicale dell’organista, il quale si inspirava ai grandi compositori operistici dell’epoca. Ne consegue che la prassi della trascrizione o adattamento di un brano operistico era quindi procedimento comune tra i più valenti organisti del tempo. In questa operazione di riscrittura della musica, nata originariamente per rievocare le scene dei celebri teatri pubblici, il compositore organista aggiungeva sempre un’idea personale, fino a far scaturire un nuovo brano musicale nato dal celebre e illustre precedente.

Si diffonde quindi e si sviluppa quella prassi dell’organo-orchestra che risuonerà sugli strumenti sino all’avvento del Movimento Ceciliano, verso la fine del XIX secolo, il quale gradualmente compirà un’opera di epurazione spirituale e musicale, arrivando a modificare la concezione costruttiva e fonica degli organi nuovi e di quelli esistenti.

Alla luce della prassi in uso per gli “Organi Moderni”, nella presente registrazione abbiamo deciso volutamente di illustrare due celebri versioni della Marcia dell’Aida di Giuseppe Verdi, le quali muovendo dalle medesime note di apertura, sviluppano in maniera differente il pensiero verdiano. La cosa interessante è che entrambe dicono la stessa cosa in maniera differente; da tutto ciò scaturisce la grande maestria di questi organisti compositori che hanno dato prova di grande professionalità, sempre comunque nel rispetto dei dettami della liturgia dell’epoca.

Nella medesima ottica si muovevano i nostri musicisti di chiesa quando riscrivevano una Marcia, che nasceva originariamente come brano orchestrale o bandistico per varie ricorrenze secolari, e nella versione organistica e quindi liturgica acquistava una solennità tutta particolare. Un ingresso solenne del vescovo nel Duomo poteva benissimo essere affidato alla magnificenza dell’organo, che con grande potenza e sfoggio di instrumenti a lingua (ad ancia) rappresentava appieno la gloria e la maestosità del momento.

Negli Avvertimenti tratti dal testo: Norme generali sul modo di trattare L’organo moderno1Giambattista Castelli ci fa riflettere e ammonisce i giovani organisti, ricordando che: “Con ciò però non s’intende di autorizzare nel Santuario l’uso della musica teatrale. – Queste profane reminiscenze se anche riescono di effetto negli Organi istromentati di cui parliamo, non per questo di sconvenire alla santità del luogo ed alla religiosa maestà colla quale vanno accompagnate le sacre officiature”.

Nondimeno gli organisti dell’epoca non disdegnavano l’adattamento delle musiche che dovevano eseguire alle reali possibilità foniche dello strumento a disposizione. A questo proposito, il Morandi, in calce alla Marcia Militare da eseguirsi nelle processioni, ci ricorda infatti che: “In queste Sonate si sono indicati i Registri comuni a tutti gli Organi; resta però in arbitrio dell’abile Organista il prevalersi di quelli straordinari che vi fossero”.

Questa affermazione conferma il fatto che adattare il brano alla fonica dello strumento era una prassi comune dettata in primis dal “buon senso” del musicista di chiesa.

Questo enorme patrimonio musicale che esiste nelle edizioni a stampa, in manoscritti dell’epoca e in quelli più recenti, oggi disponibile in gran parte sul web, non vede l’ora di essere riscoperto, valorizzato, suonato, fatto rivivere sugli strumenti dell’epoca e nella nostra cultura organistica italiana.

“Dedico questo disco alla mia famiglia”
Paolo La Rosa.
Milano, Domenica in Albis 2018

1  GIAMBATTISTA CASTELLI, Op. cit., Paideia Brescia, 1981, p. 32

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Estratto audio: Traccia 18, Paolo Sperati, Marcia Trionfale dall'Aida di Giuseppe Verdi